La libertà di espressione nel luogo di lavoro

Secondo quanto previsto dall’articolo 1 della legge 300 del 1970, i lavoratori, senza distinzione di opinioni politiche, sindacali e di fede religiosa, hanno diritto, anche sul luogo di lavoro, alla libera manifestazione del loro pensiero, sempre nel rispetto dei limiti previsti dalla Costituzione e delle norme di legge.

Va ad ogni modo premesso che il lavoratore, è investito dal diritto di critica, il cui fondamento è precisato all’interno dell’articolo 21 della Costituzione.

Questo riconosce a tutti i cittadini la libertà di manifestare il proprio pensiero sottostando comunque al limite del decoro e della dignità della persona e rispettando i valori emergenti all’interno della carta costituzionale.

Quali sono i limiti del diritto di critica del lavoratore?

Tale presupposto, pertanto, legittima il lavoratore ad esprimere anche posizioni di dissenso all’interno del contesto lavorativo. Tuttavia, il diritto di critica incontra dei limiti ben definiti, poiché bisogna comunque tener conto del diritto alla tutela dell’onore e della reputazione del datore di lavoro.

A tali presupposti se ne aggiungono altri; ovvero che l’oggetto di critica ed esternazione deve corrispondere sempre al vero, e che in ogni caso le posizioni assunte devono essere caratterizzate da un approccio moderato e sempre rispettoso della dignità altrui.

Bisogna tener conto del fatto che la violazione dei principi appena elencati potrebbe portare a dei risvolti disciplinari anche gravi.

Libertà di espressione e social network

Inoltre, esprimere il proprio pensiero, magari anche in dissenso rispetto alla linea aziendale, sul web e nei social network, vorrebbe dire amplificare le conseguenze nel caso in cui i presupposti, appena elencati, non fossero rispettati.

La Cassazione evidenzia che se si utilizzano i social network per diffondere un messaggio con contenuto offensivo, si integra la fattispecie diffamatoria aggravata. Questo avviene perché il messaggio è diffuso attraverso un mezzo assimilabile a quello stampa, con rilevanza ai fini penali.

L’assimilabilità è definita in funzione del presupposto per cui i social network hanno la potenzialità di raggiungere un numero indeterminato di persone.

Dato questo presupposto si potrebbe pertanto arrivare fino ad un licenziamento per giusta causa, poiché una simile esternazione diffamatoria potrebbe minare irrimediabilmente la fiducia che intercorre tra le parti.

E’ importante evidenziare che l’impostazione del profilo social – pubblico o privato – è poco rilevante in tal senso, poiché i social sono da ritenersi a prescindere assimilabili a luoghi pubblici.

Pertanto, tutto ciò che è condiviso da un profilo, avente anche solo un contatto, a fronte della potenziale diffusione del messaggio e della viralità che ne potrebbe conseguire, è passibile di sanzione disciplinare.