Chi è il lavoratore autonomo?

In Italia, stando alle disposizioni del ns. codice civile, è possibile prestare la propria opera professionale in due modi: a titolo di lavoratore dipendente oppure a titolo di lavoratore autonomo.

Ma come si presta l’attività di lavoro autonomo in Italia?

Premesso che vi sono diversi tipi di lavoratori autonomi quali, ad esempio, il lavoratore abituale con partita IVA (professionista o ditta individuale), l’amministratore d’azienda o il Collaboratore coordinato e continuativo (cd. Co.co.co.), il nostro obiettivo di oggi è di fare chiarezza sulla differenza tra il co.co.co. e il collaboratore occasionale.

Lavoratore autonomo: il CO.CO.CO

Il co.co.co. è saldamente e pacificamente disciplinato dall’art. 2 del D. Lgs. 81/2015, il cd. Codice dei contratti.

La disposizione fa estrema chiarezza circa i possibili utilizzi del co.co.co., come ad esempio le prestazioni rese nell’ambito di accordi collettivi nazionali o da professionisti iscritti ad un albo professionale o attività rese dall’amministratore di un’azienda

Al di fuori di queste (e altre) tipiche ipotesi e salvo alcune procedure eccezionali, quali la certificazione dei contratti di contratti di lavoro, non è possibile utilizzare la forma del co.co.co.

Chi è il collaboratore occasionale?

Il collaboratore occasionale invece è un lavoratore autonomo e la sua prestazione è disciplinata dall’art. 2.222 cc.

La differenza principale deve essere ricercata nella continuità della prestazione, la quale appunto è occasionale, dunque non ripetuta nel tempo.

Alla luce di quanto sopra, se viene superato il limite di 5.000 Euro di compenso nell’anno il collaboratore autonomo occasionale diventa un collaboratore coordinato e continuativo.
La risposta è assolutamente no.

Il limite di 5000 euro, o meglio la franchigia 5000 euro, determina soltanto l’applicazione o meno della contribuzione della gestione separata INPS; pertanto è legittimamente possibile erogare un compenso, anche di 50.000 mila euro per un collaboratore autonomo occasionale.

In conclusione non deve essere mai il corrispettivo a determinare la liceità di una collaborazione occasionale, bensì l’occasionalità stessa della prestazione, non ripetuta in più esercizi fiscali contigui tra di loro e generalmente (ma non obbligatoriamente) ricondotta, come determinato dalla prassi del ministero del lavoro, ad un massimo di 30 giorni di prestazione lavorativa in un anno con lo stesso committente.